Anzitutto i numeri: da un recente rapporto diffuso da Fondazione Edison e Unioncamere, sembra che il Terzo Settore rappresenti il 3,4% del PIL italiano. Come a dire che, senza il Terzo Settore, il welfare in Italia sarebbe a livelli decisamente più bassi.

Il comparto sociale negli ultimi tempi è cresciuto come occupazione e ha avuto il merito di contrastare gli effetti della crisi economica, con una risposta alla domanda sempre in crescita di servizi sociali, di lavoro ed educazione.

Nel nostro Paese contiamo a oggi 300.000 istituzioni (cooperative, associazioni, fondazioni, comitati…) e oltre un milione di persone impiegate e quasi 5 milioni di volontari, muovendo entrate per quasi 65 miliardi di euro.

“Il rapporto evidenzia come il made in Italy e la qualità del nostro buon vivere abbiano le radici nell’infrastruttura di relazioni e nel legame con la comunità. Oggi le filiere produttive – dice il direttore di Aiccon, Paolo Venturi – si nutrono del capitale sociale del territori senza il quale è impossibile generare valore. La presenza e la diffusione capillare delle Onp e delle imprese sociali diventa così un indicatore di competitività. Non sono più le imprese competitive che fanno i territori competitivi, bensì il contrario: sono i territori con un alto grado di capitale sociale a vincere la sfida della qualità e della competizione globale”.

Un motore alternativo, dunque, per l’economia italiana, che però potrà funzionare finché ci saranno fondi e disponibilità economiche. Un motore da sostenere a tutti i costi, visti i reali benefici che porta sul tessuto umano e territoriale italiano.

Giovanni Affinita