Vorrei fare con te un piccolo esperimento.

Fidati. Non c’è modo migliore per capire la situazione di cui ti voglio parlare.

Adesso prendi qualche tua maglietta, qualche camicia, un paio di pantaloni, una felpa, e guarda sull’etichetta dov’è stata prodotta. Sono paesi dove forse non sei nemmeno mai stato: India, Marocco, Bangladesh.  Hai mai pensato alla persona che ha prodotto gli abiti che indossi?

Ogni giorno, migliaia di lavoratori vengono sfruttati in varie parti del mondo per produrre vestiti destinati al mercato occidentale.

Sono perlopiù giovani donne, costrette a lavorare fino a 15 ore al giorno in condizioni igieniche precarie, in ambienti privi delle più semplici norme di sicurezza sul lavoro, senza pause. Non sono lavoratrici, ma schiave sfruttate fino allo sfinimento. E spesso, in quelle grandi fabbriche manifatturiere, ci sono anche i bambini.

Tutto questo per una maglietta. Un paio di pantaloni. Per la felpa che hai comprato senza pensare a cosa significhi quell’etichetta con scritto: MADE IN BANGLADESH.

Il 24 aprile 2013 Samia è andata al lavoro come ogni giorno nello stabilimento manifatturiero in Rana Plaza, a Dhaka, Bangladesh. E non è più tornata.

Questa giovane madre è stata una delle 1.138 vittime dell’incendio devastante che ha fatto crollare il complesso industriale di Rana Plaza, uccidendo un numero impressionante di lavoratori, fra cui tantissime giovani donne, e ferendone altri 2.500.

1.138 è un numero che lascia senza parole. È un numero che non ha scuse.

Per questo è nato Fashion Revolution, un movimento globale che si batte per non lasciare impunite queste morti assurde. Le richieste fatte all’industria della moda sono tre, e non sono negoziabili:

  • TRASPARENZA
  • SOSTENIBILITÀ
  • ETICA

Da quel terribile 24 aprile del 2013, ogni anno il movimento organizza una settimana di sensibilizzazione, che mobilita migliaia di persone da tutto il mondo. Persone che chiedono una sola cosa: un’industria della moda che metta sullo stesso piano la persona, l’ambiente, la creatività e il profitto.

La cooperativa newHope, una delle bellissime realtà sostenute dalla Fondazione Angelo Affinita, ha deciso di aderire a questo progetto.

Perché in fondo newHope una Fashion Revolution l’ha già iniziata da sé! Aiutando le giovani donne immigrate in Italia, e finite vittime della tratta delle schiave, questa cooperativa sociale ha fatto qualcosa di davvero rivoluzionario.

Ha messo in mano a queste giovani donne il futuro. Grazie ai laboratori di sartoria organizzati in questo centro di accoglienza, le ragazze imparano un mestiere che gli permetterà di rifarsi una vita.

Borse, accessori, biancheria per la casa, oggettistica. Quando entri nel negozio di newHope, ritrovi nei colori di questi tessuti tutte le storie, le terre e le voci di queste giovani donne. Puoi vedere la loro speranza.

Ma ci sono ancora troppe donne che, come Samia, questa speranza non l’hanno mai avuta.

Adesso facciamo un secondo esperimento. Se il primo di ha parlato di morte, sfruttamento e ingiustizia, questo ti parlerà di vita e della GIOIA DI DONARE.

Dal 24 al 30 aprile 2017, aderisci alla Fashion Revolution acquistando uno degli accessori di newHope – puoi farlo anche online tramite il sito www.coop-newhope.it – e condividilo in foto sui social network usando gli hashtag #FashionRevolution e #whomademyclothes.

Ti assicuro che partecipare a questa campagna ti cambierà la vita. Sentirai davvero di essere parte di un gruppo di persone che dice NO allo sfruttamento, al lavoro minorile e alla schiavitù.

Angelo Affinita diceva sempre “È l’uomo che fa la differenza”.

Vogliamo provare – INSIEME – a fare la differenza? CLICCA QUI.

Si aprirà una pagina dove potrai dare il tuo contributo decisivo per i progetti della Fondazione, scegliere come aiutarci tramite una donazione libera o tramite l’acquisto del libro dedicato ad Angelo.

Se sei un imprenditore, troverai anche l’opportunità di essere contattato direttamente dalla Fondazione e scoprire come fare crescere la tua azienda aiutando il prossimo.